Soldi in cambio dell’anima

Dopo due giorni di cielo grigio riappare il sole sui campi arati di fresco. I capannoni che ora s’incontrano sono quelli di una filiera agroalimentare messa a dura prova dalle monocolture e dalle multinazionali, ma dove è ancora possibile ricominciare dalla qualità e dalle unicità. Ad Iris nel 1978 erano partiti dalle siepi, per fermare le derive e segnare una diversità, ma oggi la sfida è quella di contaminare alle buone pratiche, dimostrando che qualità e redditività si possono incontrare. Ripartire dalle cose vere, ci diceva Emilio nell’incontro di Brescia, tornare alla “madre terra”, appunto.

È questo uno dei grandi temi che il confronto sui modelli di sviluppo e sulle città dovrebbe porre, nel cercare le strade per ridurre la nostra impronta ecologica. Nella sua casa di Vigodarzere ne parliamo con Gianni Tamino, biologo ed ambientalista, già parlamentare nazionale ed europeo. Il suo racconto sul boom economico del secondo dopoguerra ci aiuta a comprendere i processi di snaturamento culturale e sociale dei territori, dove il demone del denaro non ha portato al miglioramento della qualità del vivere. «Soldi, e tanti, in cambio dell’anima» amava dire Andrea Zanzotto. Aumento del PIL e della solitudine. Un paradigma dove l’uomo diviene ingranaggio di una macchina che non ha bisogno di coesione sociale ma di individui isolati, in lotta con il prossimo.

Nel frattempo ci ha raggiunti Federico Zappini. Mentre conversiamo con Gianni, storie e saperi ma anche generazioni s’intrecciano come non sempre accade, gelosi come siamo dei nostri ruoli e di quel poco o tanto di potere che ci portiamo appresso. Le nostre analisi si toccano, così l’impellente necessità di un cambio dei paradigmi con cui ridisegnare il futuro. Non è poco, anzi. Ma quando tocchiamo l’argomento del referendum del giorno dopo, misuriamo diversità e distanze. Quasi che le istanze del federalismo fossero impraticabili e non invece una sfida da accettare per sconfiggere i centralismi, quelli nazionali come quelli regionali. Penso a quanto nella mia terra c’è voluto affinché l’autonomia diventasse un terreno fertile sul quale costruire partecipazione, responsabilità e cambiamento. E a quanto possa essere veloce il suo declino in assenza di una narrazione capace di sfuggire al “prima noi”. Crinali taglienti, certo, che ciò non di meno richiedono di essere percorsi.