Categoria: Itinerari

La tempesta Vaia. Appunti di viaggio.

di Diego Cason*

Fare il punto sugli effetti della tempesta Vaia non è compito semplice ma è indispensabile una riflessione su questo evento straordinario mai avvenuto prima sulle Alpi orientali e, in particolare, nel territorio dolomitico. La prima considerazione da fare riguarda il significato di evento straordinario. Esso si inserisce, in modo anomalo, in una serie di eventi catastrofici di dimensione locale che normalmente si ripetono sulle Dolomiti come in tutte le altre aree alpine quando vi sono precipitazioni (piovose e nevose) rilevanti. Per questo motivo è necessario ribadire che il territorio montano è pericoloso ed esposto regolarmente ad eventi che producono danni ambientali e ai manufatti delle comunità. La tempesta Vaia si è sviluppata tra il 27 ottobre e il 2 novembre 2018 ha interessato un’area che va da Baltico al Mediterraneo. È stato il 29 ottobre che il vortice depressionario, rinforzato da venti di scirocco e libeccio ha raggiunto la sua massima intensità. Gli effetti sui boschi si sono concentrati nell’area che va dalla provincia di Sondrio alla provincia di Udine ma ha colpito anche aree circoscritte nelle Alpi marittime e a nord del Lago Maggiore. Le intese precipitazioni, superiori a quelle registrate nell’ultima alluvione del 1966, unite alla forza dei venti, hanno prodotto gravi danni agli edifici, alla viabilità, alle reti tecnologiche e alle opere idrauliche su quasi tutti i corsi d’acqua in particolare nel bellunese, in Trentino e in provincia di Udine. Limitandoci a valutare i danni sul patrimonio boschivo essi riguardano 41.491 ha in 473 comuni e hanno prodotto circa 8,7 milioni di metri cubi di legname schiantato, per un valore di circa 440 milioni di euro. La provincia che ha assorbito il danno assoluto maggiore è il Trentino con 18.300 ha devastanti e con 3,3 milioni di m3 di legname schiantato, segue il Veneto con 12.114 ha e 2,5 milioni di m3, l’85% dei quali in provincia di Belluno. 

Natura che ignora i confini e si ribella alle prepotenze umane

di Micaela Bertoldi

Alberi con i piedi per aria
tronchi schiantati,
riversi
su pendii privati di chiome
alopecia di monti feriti.
Mortificato,
lo sguardo sorvola
i cimiteri tristi dove natura
giace sconfitta.
Alberi e sogni sono caduti.
Smarriti e soli. Silenti.

Di sconfitte e sogni, abbiamo parlato nel decimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica”, incontrando persone addolorate per gli eventi catastrofici che si sono riversati sui territori Dolomitici e delle Alpi Carniche lo scorso 29 ottobre: un nuovo limes che la ribellione della natura ci sottopone attraverso il lamento della montagna e di chi ci vive.

Sindaci e amministratori locali, rappresentanti delle Proprietà collettive e delle Comunità di Regola, lo Scario della Magnifica Comunità di Fiemme, i responsabili dei servizi forestali provinciali, regionali, demaniali delle province di Belluno, di Udine e di Trento, rappresentanti di associazioni ambientaliste o cooperative che operano nel settore legno: in ogni incontro abbiamo parlato con cittadini preoccupati non solo per come si affronta il presente – con le opere di primo rimedio ai guasti franosi, con la pulizia di ettari di bosco devastati, con il ripristino della viabilità – ma anche e soprattutto sugli scenari oltre l’emergenza che investono il tema cruciale della montagna.

Esiti del cambiamento climatico Nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici


Ciò che è accaduto nella notte fra il 29 e il 30 ottobre del 2018 nelle foreste dolomitiche e carniche rappresenta un avvenimento tanto inedito quanto inquietante che ci porta a considerare come gli esiti dei cambiamenti climatici siano da considerare nel nostro presente. Ne ho parlato nel mio blog nella riflessione dal titolo “La ribellione della natura” e riprendendo il prezioso reportage di Giampaolo Visetti “La terre guasta”.
Malgrado l’evidenza degli avvenimenti che investono il pianeta sotto ogni latitudine e rispetto ai quali nessuno può chiamarsene fuori, tanto la dimensione pubblica (le scelte dei governi in primo luogo) quanto quella privata (i nostri stili di vita) non sembrano portare ad alcun significativo ripensamento.

Nel caleidoscopio balcanico

Nel diario del nono itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” (agosto 2018) l’ennesima conferma che questa regione europea continua a trasmetterci suggestioni generalmente incomprese sulla post-modernità
di Michele Nardelli

Il viaggio che ci porta verso l’Europa di mezzo è estenuante. Le code per lavori di terze o quarte corsie (come se il problema fosse quello di fare spazio piuttosto che di interrogarsi su questi flussi che percorrono l’Europa), il traffico di vacanze esasperate, il rientro di migranti per assecondare radici che col tempo verranno definitivamente tagliate, i confini interni all’Unione Europea – che sulla carta non dovrebbero esserci più – che il vento sovranista vorrebbe ripristinare e quelli che le guerre degli anni ’90 hanno sancito insieme all’imbroglio dell’identità nazionale: per arrivare a Kozarska Dubica, al confine fra Croazia e Bosnia Erzegovina, ci impieghiamo quattordici ore.

Balcani. Una sfera di cristallo sulla post modernità

10 – 16 agosto 2018

«Il palcoscenico costruito da Cervantes
era affollato da versioni diverse della domanda
se le cose possano mai essere quelle che sembrano,
che affermano di essere, che vogliamo che siano,
che ad altri occorre che siano»
Maria Rosa Menocal
Principi, poeti e visir

Se c’è un punto di osservazione interessante della post modernità, quello balcanico è davvero un caleidoscopio ineludibile. Anni di vita nei quali strade e luoghi sono diventati familiari. E persone, ognuna diversa, per il piacere dell’incontro e per il bisogno di capire.