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Nel limes catalano, che ci parla di noi – Diario del viaggio in Catalunya

Itinerario catalano. Un diario di viaggio nelle contraddizioni di un’Europa che deve imparare ad ascoltarsi

di Michele Nardelli
«Come può l’Europa farsi carico della questione catalana? Ascoltando la Spagna. Non il governo di Madrid, ma la realtà di questo paese…».
Nelle parole di Alexis Rodriguez Rata, giovane studioso di Altiero Spinelli che incontriamo al Museo del Mar in una Barcellona battuta dalla pioggia, c’è forse l’essenza dei giorni di immersione nella questione catalana.

Nell’Europa delle autonomie responsabili. Invito al viaggio in Catalunya.

In seguito al nostro incontro del 22 ottobre 2017 a Pieve di Soligo si sono sviluppate alcune piste di lavoro davvero stimolanti. Pensiamo all’elaborazione del documento “Autonomie. Quel cambio di sguardo che serve all’Europa” che poi è stato all’origine dell’appuntamento del 16 dicembre 2017 alle Gallerie di Trento, pensiamo all’idea di realizzare un “Forum delle nuove geografie” di cui stiamo parlando con Roberto Curci, Diego Cason ed altri come risposta alla profonda divaricazione fra la realtà e le sue rappresentazioni geopolitiche, pensiamo infine al motivo specifico di questa lettera.

A proposito di solitudine…

di Simone Casalini

A proposito di solitudine, ricorda Alessandro Pandolfi nel manuale intitolato “Nel pensiero politico moderno” (Manifestolibri, poi ristampato da Ombrecorte con l’endiadi “Ordine e mutazione”) come tale condizione abbia accomunato diversi pensatori politici. “Sulla scorta di un’intuizione di Althusser – scrive Pandolfi – la categoria interpretativa della solitudine, da intendersi al di fuori di qualsiasi accezione esistenzialistica o psicologica, permette di sottrarre lo statuto del pensiero politico agli schemi riduzionistici e ad un’inesistente autonomia dello spirito”.

Un primo bilancio. Sguardi per abitare il presente.

di Michele Nardelli

Il “Viaggio nella solitudine della politica” dopo una breve pausa agostana si avvia alla sua quarta tappa lungo l’itinerario che percorre il “limes” del nordest italiano, fra Venezia e Goli Otok, l’isola nuda tristemente celebre per aver ospitato il gulag del regime titino nel secondo dopoguerra.
Nel riprendere ora questo cammino alla ricerca di nuovi paradigmi per leggere il presente ed immaginare il futuro, vorrei provare a condividere con voi un primo bilancio, dal “prologo trentino” agli itinerari che hanno attraversato la “Regione Dolomiti”, le Terre Alte dell’Arco Alpino occidentale, Roma e le sue città.

Un passo per volta…verso la comunità “che viene”

di Federico Zappini

E’ interessante riflettere sul perché negli ultimi tempi la figura del camminatore – in politica, ma non solo – sia tornata di moda. Emmanuel Macron, sottraendosi alle primarie socialiste in Francia, ha scelto “En Marche” come nome del suo nuovo progetto. Un’invocazione di (e al) movimento, volutamente in contrapposizione all’immobilismo dei partiti tradizionali, visti come strumenti inutilizzabili e fuori dal tempo. Uno schema che sembra – per il momento e almeno nei sondaggi – funzionare. Sfruttandonela scia come un provetto ciclista Matteo Renzi ha lanciato la sua campagna congressuale nel tentativo di rimuovere il ricordo del suo triennio a Palazzo Chigi, non dinamico come nelle attese. Agendo di traduzione, materiale e spudorata, ecco nascere “In cammino”. Le piazze e le strade d’Europa si preannunciano quindi punteggiate di esploratori politici che sperimentano l’idea – non nuova, certo – che se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna a muovere il primo passo. Di fronte alla disarticolazione sociale e politica, per porre un argine allo sfarinamento dei corpi intermedi e rispondere alla crisi dei  processi democratici torna centrale l’esigenza di stabilire un contatto diretto con i cittadini (con quel popolo a cui tutti si riferiscono e che nessuno sembra davvero comprendere) e di riaffermare una presenza capillare sul territorio. Peccato che in pochi sembrino interessati a ricordare e ridare corpo all’esperienza politica sperimentata da Alexander Langer, “Viaggiatore leggere” continuamente a scavalcodei confini europei e delle differenze culturali, capace di sguardo lungo e di traiettorie radicali.

Negli ultimi anni – anche sotto la potente spinta, nel bene e nel male, della tecnologia – il viaggio è tornato a essere elemento utile per interrogare il presente, mettere in evidenza storie esemplari,  incrociare sguardi e sviluppare processi di conoscenza e apprendimento. Con risultati più o meno gradevoli ed efficaci. Attraverso percorsi più o meno onesti dal punto di vista intellettuale. Non si contano i libri e i siti che raccolgono best practises nei campi della sostenibilità e dell’innovazione (il più famoso nel nostro paese è probabilmente “L’Italia che cambia”). C’è chi – come Paolo Rumiz, Enrico Brizzi e Wu Ming – ha recuperato il genere letterario della narrazione di viaggio, meglio se a piedi e con andamento lento, restituendogli dignità e successo. Persino lo scalcagnato, ormai ex, direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano ha descritto in due libri gli itinerari di ricerca di coloro che, dentro la crisi economica, mettono in campo azione di resistenza imprenditoriale. Avrò certamente dimenticato qualcuno in questa rapida carrellata. Siamo di fronte – è evidente – a un “mercato” particolarmente segmentato e competitivo. Cosa differenzia quindi un viaggio come quello che ci apprestiamo ad iniziare da tutti quelli che l’hanno preceduto e da quelli che certamente lo seguiranno?

Si può partire carichi di certezze – sentendosi profeti piuttosto che viandanti, apolidi della politica – oppure leggeri, e in un certo senso fragili, sicuri solamente del fatto che dentro le trasformazioni epocali che stiamo osservando, a livello globale come locale, vadano cercate e condivise idee e ipotesi politiche capaci di riconoscere, articolare e promuovere cambi di paradigmi e non la difesa e la conservazione dell’esistente. “Non è il tempo della moderazione” scriveva Simone Casalini nei giorni scorsi dalle colonne del Corriere del Trentino, riflettendo attorno alla scivolosa categoria dei populismi e del fallimentare approccio della politica al montare di fenomeni d’insofferenza nei suoi confronti.

Il viaggio di sifr assume le caratteristiche di un’inchiesta collettiva e multiforme sulla modernità, contraddittoria e a tratti disturbante, così come – se vogliamo prendere un altro esempio letterario – l’ha descritta con grande profondità e acutezza Daniele Rielli nel suo “Storie dal mondo nuovo”, con la sola parziale eccezione dell’ultimo capitolo – non originale e curioso come il resto del libro – sul vicino Alto Adige. Allo stesso tempo, parlo in prima persona in questo momento, sifr è anche l’urgenza di lavorare sull’identificazione di uno scenario personale e collettivo che, per uno strano caso del destino, coincide con la lettura dell’ultimo romanzo di Paolo Cognetti “Le otto montagne”, storia che sento molto mia sia perché rappresentativa di una generazione confusa e alla costante ricerca di un’ancoraggio al futuro che per la capacità dell’autore di mettere in relazione le diversità umane (i due protagonisti, le loro esistenze) e ambientali (la città e la montagna) dentro un percorso accidentato e per nulla scontato di continue verifiche del passo successivo da compiere. E ancora – ultimo, ma non in ordine di importanza – sifr è il tentativo di spiegare che dentro la lunghissima transizione tra il “non più” e il “non ancora” – di cui ancora non vediamo la fine, anche e soprattutto per colpa nostra – quella da cercare non è la comunità “che fu” ma quella “che viene”. Una comunità che, nell’epoca dell’accelerazione come mantra, ragiona sulla necessità di darsi il tempo e di trovare il modo di stare insieme, restituendo valore all’incontro e alle relazioni. Una comunità che la politica, chi altrimenti, è chiamata ad accompagnare dentro le importanti sfide di questi “tempi interessanti”.

Ecco allora che questo cammino è guidato dalla curiosità e dalla voglia di lasciarsi stupire piuttosto che dal battere percorsi sicuri e avvicinarsi a mete conosciute. Non si accontenta di confermare un’idea di partenza ma si nutre di confronti sinceri e persino conflittuali. Non da (quasi) nulla per scontato, semplicemente perché non può permettersi di farlo, e pretende di mettere sotto stress ogni tema che incontrerà lungo la strada.