Nelle “terre dell’osso”. Alla ricerca di suoni che diano speranza al Mezzogiorno

«…Eppure, vedete, restano le terre ma mancano i cristiani.
E mancando i cristiani non c’è chi le difende, e c’è invece chi ne approfitta.
Non c’è palmo di terra netta. Dove c’è una pala a vento, dove un’antenna, dove una colonna di filo per luce. E questi sono i suoni che si levano al vento. Né canti a stesa, né grida di mezzogiorno. Ronzio di campo di elettricità e reti di ferro. Solo cristiani non se ne vedono, ed essendo pochi a crescerci il grano, vogliono mandarci le immondizie degli altri. E di questo piano ventoso fare una fossa e riempirla di tutto il rifiuto di gente lontana, che maggiore è di numero, e tanti più voti e Contributo può muovere. …
Sono queste le terre di mezzo, le terre dell’osso… L’osso della terra, che la polpa sta fuori, verso la riva del mare, verso le piane mercate… E osso perché sopra non ci rimane niente…
La terra con i terremoti si rimangia uomini e opere e non lascia nulla a durare, ma ugualmente noi, come i cani, ci teniamo quest’osso, e lo teniamo stretto fra i denti, e arrabbiamo»
Vinicio Capossela, Le terre dell’osso.
Da “Il paese dei coppoloni”.
“Terre dell’osso”. Quella che ci propone Vinicio Capossela è l’immagine di un Mezzogiorno dall’interno dal quale la gente ancora se ne va, dove le comunità invecchiano e non si ha più a chi raccontare perché di figli non ne nascono. E dove non arriva la mancanza di futuro, ci pensa il terremoto, che a guardar bene altro non è che l’evidenziatore di una realtà stremata. Terre che così diventano preda di chi l’amore per la madre-terra non sa che cosa sia.
Eppure… c’è chi quell’osso non lo vuole mollare “e arrabbiamo”. È l’eco di quei suoni antichi ma vivi che cerca il viandante, scrive Vinicio. L’eco di chi ha scelto, malgrado tutto, di restare o quello avvertito come richiamo lontano che porta a tornare sui propri passi, quelli dei padri intristiti dal demone del progresso, quelli delle madri che pure non hanno mai smesso di covare dentro “un calore di casa”.
Quell’eco che vorremmo ascoltare nell’incontrare i giovani che ritornano alla terra e al pane, nelle esperienze di rinascita culturale, nella fantasia di amministratori locali che danno il benvenuto ai migranti che cercano una nuova possibilità, nella maestria e nella fatica di un vignaiolo che cerca antichi vitigni a loro volta frutto di antiche migrazioni, nel collettivo politico che ridà vita ad esperienze originali la cui radicalità ha le proprie radici in forme comunitarie che la deriva statalista ha cancellato, in figure intellettuali che non si sono piegate alle sirene del potere.
E che, a questo punto del nostro viaggio, vorremmo provare a connettere con l’università della montagna, le scuole del ritorno, le reti degli usi civici, i forum sulle nuove geografie, le esperienze di formazione politica, il nuovo federalismo…
Suoni che nel vuoto della politica ufficiale possono rappresentare un segno di speranza.

Programma
(bozza di lavoro)

Mercoledì 30 maggio 2018
Verso le terre alte del Mezzogiorno
ore 6.30 Partenza per chi viene da Trento verso L’Aquila
ore 13.00 L’Aquila. Breve visita alla città.
«…immergersi nei fenomeni e nei luoghi, facendosi parte del flusso, senza perdere l’autonomia dello sguardo, ma puntando ad individuare tracce ed indizi rivelatori…»
Filippo Tantillo

ore 15.00 Borghi abbandonati: Santo Stefano di Sessanio
ore 16.00 Partenza per il Sannio
Arrivo in serata. Cena e sistemazione a Guardia Sanframondi

Giovedì 31 maggio
Nel Parco del Matese
« (…) Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza. (…) »
(Enrico Malatesta, Il Programma Anarchico, 1919)

Ore 8.30 San Lupo. La Taverna degli Anarchici
Ore 9.30 Fontegreca. Visita alla Cipresseta
Ore 10.30 partenza per Letino. Visita al centro storico
Ore 13.30 Lago Matese – Casa vacanze scarponi del Matese – Pranzo Resistente
Ore 15.30 Pietraroja – Paleolab
Ore 17.00 Ponte di Annibale
Ore 17.30 Cerreto Sannita – Comunità Montana del Titerno Tammaro – Politiche del territorio e Strategia Aree Interne
Ore 19.00 Guardia Sanframondi e cena – Verso la capitale europea delle città del vino

Venerdì 1 giugno
Nel Fortore dei borghi autentici
Ore 09.30 Apice vecchia
Ore 11.30 San Marco de’ Cavoti. Alle porte del Fortore: la terra del vento.
Ore 13.00 Pranzo anarchico al Magazzeo
Ore 15.30 San Bartolomeo in Galdo. La marcia della fame.
Ore 21.00 Arrivo a Calitri. Cena e pernottamento

Sabato 2 giugno
L’Irpinia d’Oriente

«Noi azzardiamo a fare l’Acqua Vita. L’acqua di vita, lo spirito ad alta gradazione che rincuora l’anima. Che c’è bisogno qui di rincuorarsi! Dicono sì Bisacciara la gentile, ma è una terra ben poco gentile questa. Guardate qua… Mostrò all’interno della taverna una fotografia appena al muro. Il trio ritratto nel dagherrotipo aveva lasciato impresso nell’obiettivo un quadro di facce ataviche, cretose, nate già vecchie. Facce sulle quali non era passata la predicazione di Cristo. … Gente che la vita si è succhiata e poi ha scartato. È rimasta la carcassa tra le zolle. Le hanno avute quelle terre che si sono presi, ma se ne sono dovuti andare lo stesso. Ja, ich sprachen deutsche… Lo parlo pure io, come tutti gli altri allattati dalla Germania. Me ne sono tornato. Volevo fare tante cose qua. Però i figli mi hanno lasciato solo e sono finiti alla Germania anche loro. Di nuovo. Io qui resto e faccio l’Acqua Vita».

Ore 9.30 Calitri.
Ore 11.00 Aquilonia
Ore 13.00 Lago di Conza
Ore 15.00 Castelfranci – Cantine Perillo
In serata spostamento in Cilento e cena al BAM di Sapri

Domenica 3 giugno
Lucania, fra miti di sviluppo e cultura

«Dicevano quelli di prima: una mamma campa cento figli, ma cento figli non campano una mamma. Ora i figli non la onorano, ma la storpiano con gli avanzi e il tossico sotterrato e le gomme bruciate all’aria, e le trivelle e i fuochi. Le tolgono l’olio di dentro, le gonfiano gli intestini col gas e avvelenano l’acqua. Ma restano a vegliarla i suoi spiriti ogni volta che provano a scavarle la fossa. Per recintarla mandano i soldati. La terra stessa che li ricaccia, gli domanda… chi siete, a chi appartenete? Ed essi non sanno. Dicono nomi più grandi di loro. Pronunciano sillabe divise da punti. Cose che non hanno persona. Sigle che portano leggi da sempre più lontano, dove nemmeno la lingua s’intende e niente conoscono di come viviamo, ma cambiano faccia alla terra…».
Vinicio Capossela, Il paese dei coppoloni

Al mattino presto visita alla Val d’Agri, il mito del petrolio
Ore 11.30 Matera
Rientro passando per Benevento